This article is written in italian and is still unpublished
Dove il mare avanza: le isole Ebridi esterne e il cambiamento climatico
“Siamo fortunati a vivere qui”, dice Niel Nicholson, guardando la spiaggia che si stende davanti casa sua a Sollas, North Uist. “Bisogna bilanciare gli aspetti positivi con quelli negativi, e quelli negativi riguardano più che altro il tempo”.
Niel è un tatcher: costruisce tetti di paglia, un mestiere antichissimo ma poco praticato. È l’ultimo rimasto sulle Ebridi esterne, la regione più nord-occidentale della Scozia.
“Il mio mestiere dipende dalle condizioni meteorologiche. Se l’aria viene da levante, impaglierò il lato ovest del tetto, viceversa se viene da ponente. È una meccanica molto semplice”.
Ma non è solo una questione lavorativa: “Chiunque qui sa leggere un barometro, tutti sanno interpretare la direzione delle nuvole”, commenta Niel, “da queste cose si può capire se seminare i campi, spostarsi in macchina, portare i figli a scuola”.
Data la loro esposizione sull’Atlantico, sulle Ebridi vento e burrasche sono all’ordine del giorno: in inverno la forza di certi eventi è tale che piccoli pesci vengono trasportati dal mare fino all'erba delle scogliere di Barra Head, alte circa 190 metri.
Ma negli ultimi tempi, tutto sta cambiando: piogge e temporali sempre più violenti, insieme all’innalzamento degli oceani e all’erosione costale, trasformano un territorio ricco di natura e storia, minacciando la quotidianità e la vita di chi ci abita. È un effetto diretto del climate change.
“Anni fa potevo lasciare la mia barca in secca, oggi ho paura che l’oceano la porti via”, continua Neil. “Non sono sicuro che si possa parlare di cambiamento climatico, ma un cambiamento c’è stato, lento e costante. L’alta marea resta più a lungo, e l’acqua sbatte sulla riva con più forza, mangiando pian piano pezzi di terreno”.
Poi ironizza: “Ehi, siamo comunque più al sicuro qui che a Londra”.

Machair - Terra
Quando si attraversano le Ebridi, si passa per paesaggi molto diversi fra loro: spiagge bianche e chilometriche, distese di steppe e laghi interni (più di 7.000), colline rocciose praticamente disabitate.
“Su queste isole c’è solo una città. Per il resto si tratta di villaggi, piccoli poderi noleggiati da proprietà più grandi”, dice Frank Rennie, professore in pensione dell’UHI, l’Università delle Isole e delle Highlands scozzesi. “Però non mi sento isolato o fuori dal mondo: questo, per me, è il centro dell’universo”.


L’elemento di continuità è dato dalla gente, dal sostrato culturale di queste isole. Ogni casa ha un piccolo appezzamento di terreno, in media di due ettari, e la maggior parte degli abitanti lo gestisce come secondo lavoro.
“Questi appezzamenti vengono chiamati crofts, e quasi tutti qui sono crofters”, commenta il professor Rennie, “è ciò che regola e stabilizza queste comunità: puoi parlare con un idraulico, un avvocato, un barista, ma probabilmente stai parlando anche con un crofter”.
Un’attività possibile grazie al machair, un piano erboso in cui il terreno delle isole si mischia alla sabbia delle spiagge: un suolo calcareo e ricco di calcio, molto fertile e habitat di diverse specie naturali.
Nonostante lo si possa trovare anche in Irlanda e in altre parti della Scozia, le Ebridi esterne raccolgono la maggior parte di questo particolare tipo di terreno. Una rarità che rende unico il panorama: “D’estate, sul machair esplodono colonie di fiori selvatici,” dice. “Sono così tanti che, camminandoci in mezzo, rimane il polline sulle scarpe: sembra di stare in paradiso”.
Un paradiso, però, a rischio. Camminando sulla costa di South Galson, a nord di Lewis, il professor Rennie indica una staccionata: delimita lo spazio che separa il machair dalla costa, serve per evitare che le bestie si avvicinino all’oceano. In alcuni punti è crollata.
“Vivo qui da cinquant’anni, e in questo lasso di tempo abbiamo dovuto spostarla indietro almeno di 20-30 metri”, commenta. “L’erosione costale è un processo naturale, c’è sempre stato. Ma da un po’ di tempo è diverso: il mare è più violento, più feroce”.

Stoirm - Tempesta
Per capire il pericolo che minaccia gli abitanti delle Ebridi esterne, bisogna partire dalla tempesta del 2005, la peggiore a essersi abbattuta sull’arcipelago negli ultimi 30 anni.
È stato un evento generazionale: la bassa pressione da ovest (registrata a 946 millibar, ben al di sotto della media e nemmeno sulla scala di un barometro tradizionale) ha portato la marea ad alzarsi di oltre un metro e mezzo rispetto al limite. Passate le dune di sabbia protettive, l’oceano ha invaso intere aree delle isole e diverse persone hanno perso la vita. In alcuni punti erano stati spazzati via oltre trenta metri di costa.
“Se le previsioni dovessero essere confermate”, afferma Johanne Ferguson, operation manager di NatureScot, l'agenzia pubblica scozzese responsabile della conservazione del patrimonio naturale, “nei prossimi cinquant’anni il livello del mare dovrebbe alzarsi di circa un metro, ed episodi del genere si ripeteranno sempre con maggiore frequenza”.
Già oggi la situazione è in parte compromessa: “Non serve necessariamente un evento traumatico per notare gli effetti del cambiamento climatico”, commenta Johanne, “due inverni fa abbiamo avuto piogge particolarmente intense: spostarsi è diventato praticamente impossibile perché l’acqua invadeva le strade. E non era nulla di straordinario, solo un inverno più piovoso del solito”.
A cambiare sono stati i modelli meteorologici: negli ultimi anni, la bassa pressione che era solita presentarsi nel tratto di oceano tra le Ebridi e l’Islanda si è spostata a sud. La pioggia, che normalmente era leggera e costante, oggi arriva rapida e intensa, impedendo al terreno di assorbirla e al vento di dissiparla.
“Il fatto è che abbiamo di fronte un futuro incerto,” continua Johanne “l’innalzamento delle acque può modificare radicalmente il sistema costale, e l’erosione lo ha reso più vulnerabile alle alluvioni. Se aggiungiamo la crescente frequenza degli eventi straordinari, quello che è successo nel 2005 potrebbe diventare la normalità”.
àrainn - Habitat
Per chi vive sulle isole la trasformazione in atto è evidente, e altrettanto chiaro è il fatto che essa sia dovuta al cambiamento climatico.
Secondo David MacLennan, capo operativo di NatureScot, questo impatta su più aspetti: “A seconda di come si modifica la costa, vengono colpiti i trasporti, l’agricoltura, la salute delle persone, l’accesso ai servizi. Il climate change non trasformerà solo un fattore della nostra vita qui, assorbirà tutto”.
Il segreto è la pianificazione, la programmazione basata sui dati scientifici, e il confronto con le persone: è necessario capirne i bisogni e le preoccupazioni per poter stabilire le aree di intervento. “Qui siamo abituati al brutto tempo,” commenta ancora David “ma quando l’aeroporto o il traghetto rimangono bloccati per giorni a causa della pioggia e del vento, anche chi è abituato inizia ad avere meno fiducia”.
È una sfida, e una sfida molto costosa. NatureScot sta già stilando una lista di interventi da presentare al governo: è ordinata secondo urgenza, potrebbero non esserci fondi per coprire tutte le fragilità.
Non sono mancati interventi efficaci, come la copertura della costa attorno all’aeroporto di Benbecula, nella parte centrale delle Ebridi. Situato in una delle zone più soggette all’erosione costale (ma l’unica adatta a ospitare un aeroporto), è stato protetto da un sistema di barriere rocciose, capaci di rallentare l’impatto dell’alta marea.
Ma un intervento di questo tipo non può essere sviluppato su tutta la costa. Sulle Ebridi esterne cercare di salvaguardare il sistema economico e sociale è vitale, ma al tempo stesso non si può trascurare l’habitat naturale che ospitano: per rispondere al cambiamento climatico bisogna quindi creare una sinergia uomo-ambiente. “Lasciare che le dune di sabbia si muovano a seconda delle correnti”, dice David, “è il miglior sistema di protezione che possiamo mettere in campo, forse anche quello meno costoso”.
Se il futuro è incerto, le persone che abitano queste isole sono un esempio di resilienza: “Non siamo condannati”, commenta David. “Se riusciremo a vedere e capire il cambiamento attorno a noi, potremo sicuramente avere anche in futuro una comunità attiva e vivace”.
Chiude: “Forse sarà solo un po’ diverso”.